Tzvetan Todorov, “LA LIBERTÀ DELLE VOLPI E DELLE GALLINE”, La Stampa 12/04/ 2011
Dopo il secolo dei totalitarismi, un nuovo mostro tirannico l’individualismo senza freni che distrugge la società.
Perché un potere sia legittimo, non basta sapere com’è
stato conquistato (ad esempio con libere elezioni o un colpo di Stato), occorre
ancora vedere in che modo viene esercitato. Fra poco saranno tre secoli dacché
Montesquieu ha formulato una regola per guidare il nostro giudizio: «Ogni potere
senza limiti non può essere legittimo». Le esperienze totalitarie del XX secolo
ci hanno resi particolarmente sensibili ai misfatti di un potere statale
illimitato, in grado di controllore ogni atto di ogni cittadino.
In Europa questi regimi appartengono al passato ma,
nei Paesi democratici, restiamo sensibili alle interferenze del governo negli
affari giudiziari o nella vita dei media, perché queste hanno come effetto la
soppressione di ogni limite posto al suo potere. I ripetuti attacchi del
Presidente francese o del premier italiano ai magistrati e ai giornalisti sono
una dimostrazione di questo pericolo. Tuttavia lo Stato non è l’unico a
detenere poteri all’interno di una società. All’inizio di questo XXI secolo, in
Occidente, lo Stato ha perso buona parte del suo prestigio, mentre è diventato
una minaccia l’ampio potere che detengono alcuni individui, o gruppi di
individui. Eppure questa minaccia passa inosservata, perché questo potere si
orna di un bel nome, di cui tutti si fanno forti: libertà. La libertà
individuale è un valore in crescita, i difensori del bene comune oggi sembrano
arcaici. Come si sia prodotto questo capovolgimento, lo si vede bene nei Paesi
ex comunisti dell’Europa dell’Est. L’interesse collettivo oggi è sospetto: per
nascondere le sue turpitudini, il regime precedente l’aveva invocato così
spesso che più nessuno lo prende sul serio, lo si considera una maschera
ipocrita. Se il solo motore del comportamento è in ogni caso la ricerca del
profitto e la sete di potere, se la lotta senza pietà e la sopravvivenza del
più adatto sono le dure leggi dell’esistenza, tanto vale smetterla di fingere e
accettare apertamente la legge della giungla. Questa rassegnazione spiega
perché gli ex burocrati comunisti abbiano saputo rivestire, con una facilità
sconcertante, gli abiti nuovi dell’ultraliberismo.
A migliaia di chilometri di lì, negli Stati Uniti, in
un contesto storico completamente diverso, si è sviluppato da poco il movimento
del Tea Party, il cui programma inneggia alla libertà illimitata degli
individui e rifiuta qualunque controllo del governo: esige di ridurre
drasticamente le tasse e qualunque altra forma di redistribuzione delle
ricchezze. Le sole spese comuni accettate riguardano l’esercito e la polizia,
cioè ancora la sicurezza degli individui. Chiunque si opponga a questa visione
del mondo viene trattato da criptocomunista! Il paradosso è che questa visione
si rifà alla religione cristiana, mentre questa, in accordo con le altre grandi
tradizioni spirituali, raccomanda di curarsi dei deboli e dei miserabili.
Si passa, in questi casi, da un estremo all’altro, dal
tutto-Stato totalitario al tutto-individuo ultraliberale, da un regime
liberticida a un altro, di spirito «sociocida», per così dire. Ora il principio
democratico vuole che tutti i poteri siano limitati: non solo quelli degli
Stati, ma anche quelli degli individui, anche quando rivestono i vecchi abiti
della libertà. La libertà delle galline di attaccare la volpe è uno scherzo,
perché non ne hanno la capacità: la libertà della volpe è pericolosa perché è
la più forte. Attraverso le leggi e le norme che stabilisce, il popolo sovrano
ha tutto il diritto di restringere le libertà. Questa limitazione non tocca
allo stesso modo tutta la popolazione: idealmente, limita coloro che hanno già
molto potere e protegge chi ne ha molto poco.
Il potere economico è il primo dei poteri nelle mani
degli individui. Lo scopo di un’impresa è generare profitti, senza i quali è
condannata a sparire. Ma al di fuori dei loro interessi particolari, gli abitanti
di un Paese hanno anche interessi comuni, ai quali le imprese non
contribuiscono spontaneamente. Tocca allo Stato liberare le risorse necessarie
a prendersi cura dell’esercito e della polizia, dell’educazione e della salute,
dell’apparato giudiziario e delle infrastrutture. O della protezione della
natura: la famosa mano invisibile attribuita ad Adam Smith non serve a molto,
in questi casi. Lo si è visto con la marea nera nel Golfo del Messico, nella
primavera 2010: lasciate senza controllo, le compagnie petrolifere cercano i
materiali da costruzione poco costosi e dunque poco affidabili. Di fronte allo
smisurato potere economico di individui o di gruppi di individui, il potere
politico si rivela spesso troppo debole.
La libertà di espressione a volte viene presentata
come il fondamento della democrazia, e per questa ragione non deve conoscere
freni. Ma si può dire che è indipendente dal potere di cui dispone? Non basta
avere il diritto di esprimersi, occorre anche averne la possibilità; se non
c’è, questa «libertà» non è che una parola vuota. Tutte le informazioni, tutte
le opinioni non vengono accettate con la stessa facilità nei grandi media. Ora
la libera espressione dei potenti può avere conseguenze funeste per i
senza-voce: viviamo in uno stesso mondo. Se si ha la libertà di dire che tutti
gli arabi sono degli islamisti non assimilabili, essi non hanno più quella di
trovare lavoro e neppure di camminare per strada senza essere controllati.
La parola pubblica, un potere tra gli altri, a volte
deve essere limitata. Dove trovare il criterio che permetta di distinguere le
limitazioni buone da quelle cattive? Soprattutto nel rapporto di potere tra chi
parla e colui di cui si parla. Non si ha lo stesso merito se si combattono i
potenti del momento o si indica al risentimento popolare un capro espiatorio.
Un organo di stampa è infinitamente più debole dello Stato, non c’è dunque
ragione di limitare la sua libertà di espressione quando lo critica, purché la
metta al servizio della libertà.
Quando il sito Mediapart rivela una collusione tra
poteri economici e responsabili politici, il suo gesto non ha nulla di
«fascista», qualunque cosa dicano quelli che sono presi di mira. Le «fughe di
notizie» di WikiLeaks nulla hanno di totalitario: i regimi comunisti rendevano
trasparente la vita dei deboli, non quella dello Stato. In compenso, un organo
di stampa è più potente di un individuo e il «linciaggio mediatico» è un abuso
di potere.
I difensori
della liberà d’espressione illimitata ignorano la distinzione tra potenti e
impotenti, il che permette loro di coprirsi da soli di alloro. Il redattore del
quotidiano danese Jyllands-Posten, che nel 2005 aveva pubblicato le caricature
di Maometto, cinque anni dopo torna sulla questione e modestamente si paragona
agli eretici del Medioevo bruciati sul rogo, a Voltaire nemico della Chiesa
onnipotente o ai dissidenti oppressi dalla polizia sovietica. Decisamente la
figura della vittima esercita oggi un’attrazione irresistibile! Ciò facendo, il
giornalista dimentica che quei coraggiosi praticanti della libertà di
espressione si battevano contro i detentori del potere spirituale e temporale
del loro tempo, non contro una minoranza discriminata. Porre limiti alla
libertà di espressione non significa sostenere la censura, ma fare appello alla
responsabilità dei padroni dei media. La tirannia degli individui è certamente
meno sanguinosa di quella degli Stati; eppure anch’essa è un ostacolo a una
vita comune soddisfacente. Nulla ci obbliga a rinchiuderci nella scelta tra
«tutto-Stato» e «tutto-individuo»: abbiamo bisogno di difenderli entrambi, e
che ciascuno limiti gli abusi dell’altro.
[Traduzione di Marina Verna]
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